posted: 25.09.2017 @ 12:49 |
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Due anni di Midnight Factory: l'intervista!
Faccia a faccia con la divisione horror di Koch Media
Parte 1 – L'orrore, l'orrore...
Ciao Manlio, ciao Alessandro e benvenuti su DVDWeb. Per iniziare, raccontatemi com'è nata Midnight Factory e come siete stati coinvolti nel progetto.
MANLIO GOMARASCA: È partito tutto dall'incontro con Umberto Bettini, Country Manager della divisione italiana di Koch Media (che è una società austro-tedesca). Una persona estremamente illuminata per quanto riguarda le nuove strategie di mercato, e con un'apertura mentale a 360°: l'uomo ideale, quindi, per creare in Italia qualcosa di diverso. Con lui abbiamo iniziato a sognare una collana dedicata al cinema horror per il nostro mercato, qualcosa che non fosse episodico, ma che avesse alle spalle un pensiero, nel bene e nel male. D'altra parte, con la mia esperienza nei festival di Roma e Locarno, dove facevo parte del comitato di selezione occupandomi spesso della programmazione di mezzanotte, e in quelli di Sitges o Neuchatel, specializzati nel cinema fantastico, avevo chiara la situazione mondiale del genere e ho potuto così mettere la mia competenza a disposizione di quest'idea.
ALESSANDRO BONETTI: Ho sempre avuto due passioni forti nella mia vita, il cinema e i videogame. Per dieci anni ho lavorato in Blockbuster dove mi sono occupato del marchio Game Rush, dedicato appunto ai videogiochi e che è diventato il primo concorrente di GamesStop per l'Italia. Mi occupavo di analisi di mercato, sia sui videogame che sull'usato per i film, gestivo la compravendita, il prezzo di ritiro, il prezzo al pubblico, il confronto tra nuovo e usato. Una volta conclusa quell'esperienza, per un paio d'anni mi sono occupato di organizzazione di eventi e attività di PR, finché non si è presentata questa nuova occasione. Umberto Bettini e Stefano Traversari (che oggi è il mio capo nel Dipartimento Homevideo in Koch Media) erano infatti miei colleghi in Blockbuster e mi hanno coinvolto in questo ambizioso progetto.
In uno dei video presenti sul canale YouTube di Midnight Factory, si dice che, prima di nascere, il marchio "a lungo ha operato nell'ombra, a fari spenti, facendosi le ossa": che significa?
AB: Midnight Factory è partita ufficialmente nel Luglio del 2015 con l'uscita nelle sale di Babadook e la proposta in home video di Piranha DD e Backcountry. Ma il progetto nasce ovviamente prima, nell'Ottobre del 2014, quando abbiamo iniziato uno scan del mercato, preparato i materiali virali per la pagina Facebook, portato avanti la parte digital, e approntato così tutti i presupposti per il lancio vero e proprio. Abbiamo fatto un'opera di teasing di un mese, in cui ogni settimana postavamo un video senza far capire di cosa stessimo parlando, ma sempre a tema horror, per poi, a Luglio, svelare il progetto e lanciarlo. Midnight Factory essenzialmente è un fiume in piena che viene alimentato da tanti affluenti diversi, perché c'è la parte theatrical, quella home video e, nel dettaglio, Manlio si occupa della parte artistica, quindi selezione dei titoli, scelta del prodotto e tutto il collegato. Io invece sono più focalizzato sulla realizzazione fisica delle uscite, ovvero grafica e contenuti speciali delle edizioni home video.
MG: Sì, una volta constatato il feeling con Umberto e la bontà del progetto, abbiamo approntato una strategia che prevedesse la suddivisione tra film per la sala e altri per l'home video. La divisione non va intesa in termini strettamente qualitativi, il punto è capire la destinazione dei prodotti a seconda del momento. Per esempio: The Devil's Candy, di Sean Byrne, uscito da pochissimo, è arrivato nel momento giusto perché non ha ancora avuto una distribuzione internazionale molto vasta ed era quindi in grado di sostenere l'uscita in sala. La prova è che, pur uscendo in una "lunga estate calda", che ha visto nelle nostre sale una decina di horror, è stato il terzo più visto e siamo per questo soddisfatti. Al contrario, quando abbiamo a che fare con altro tipo di prodotto o con film che sono meno d'attualità, si può pensare a una distribuzione per il solo mercato dell'home cinema. A questi si affianca poi la linea Midnight Classics, dedicata ai grandi titoli del passato, che è stata inaugurata da Zombi.
Approfondiamo un attimo la "filosofia" di Midnight Factory e come influenza la vostra scelta dei titoli.
MG: Midnight Factory ha un grandissimo vantaggio: da un lato tenta degli esperimenti cinematografici che tengano conto sia delle esigenze del mercato, che della qualità effettiva dei singoli film; e poi cerca di portare avanti il discorso dell'home video - che generalmente viene considerato minore - presentando un'attenta selezione di titoli. Cerchiamo film che riteniamo abbiano dei punti di forza, piuttosto che accontentarci di prodotti che non conosciamo, da buttare alla cieca sul mercato, magari perché fanno parte di un pacchetto. Il problema che si pone con molte distribuzioni, in fondo, è che chi vi lavora non sa assolutamente cos'ha tra le mani. Noi lo sappiamo, per l'esperienza che ho spiegato prima, e quindi si può non essere d'accordo sulla valutazione del singolo film – che lo spettatore può trovare più o meno bello – ma di sicuro la linea poggia su un progetto coerente che permette di instaurare un dialogo onesto. Possiamo dire di tutto su un film come Babadook – che ritengo non sarebbe mai arrivato in Italia nelle normali condizioni di mercato - ma sicuramente possiede dei motivi d'interesse che lo rendono difendibile a 360° e il pubblico lo ha premiato con un incasso record al botteghino.
Ma quindi è possibile scegliere i singoli film, o si è costretti a comprare un pacchetto?
MG: Una volta era così. Il cinema horror, negli anni passati, era inserito in pacchetti, anche perché le dinamiche erano diverse e nessuno aveva pensato di creare una label specifica per questo genere. Così, si comprava un film importante per l'uscita in sala, e nel pacchetto c'erano anche degli horror che nel corso degli anni venivano spalmati in sala o in DVD, a seconda delle opportunità del mercato. Midnight Factory ha cambiato completamente questo tipo di approccio: noi scegliamo il film horror singolarmente e lo compriamo. Alla fine non è che cambi molto a livello di acquisizioni e prezzi, cambia invece la consapevolezza che si ha del prodotto. Questo secondo me fa la differenza. In questo modo abbiamo potuto far uscire titoli sperimentali come Amer, Lacrime di sangue, The ABC's of Death, muovendoci in percorsi difficili che secondo me nessun altro avrebbe affrontato.
Considerata la vostra visione a 360° del panorama internazionale, quale valutazione date dell'attuale scena del cinema horror?
MG: La scena è complessa: innanzitutto ci sono i prodotti delle major, che fanno parte di una dinamica di distribuzione internazionale, che va quindi al di là del singolo mercato. Un esempio al momento può essere rappresentato da IT, tratto dal romanzo di Stephen King, sul quale si stanno concentrando tante attenzioni in rete. Questa dinamica, da un lato offre ampie possibilità di incasso, perché appunto l'uscita è spalmata su più mercati, ma per contro costringe a stare dentro determinate regole che sono standardizzate per tutti i paesi: il film non può essere considerato offensivo in Corea del Sud e accettabile in Italia, con il rischio magari di scontrarsi con la censura in Germania. Deve essere, insomma, un prodotto omologato. Poi ci sono gli indipendenti, che hanno la possibilità di scegliere il prodotto che per il loro mercato può essere più o meno funzionale. Ribadisco che il discorso va al di là della semplice questione qualitativa legata al singolo film: è un problema di scelte fra un prodotto libero e uno che decide di far parte di un sistema internazionale omologato. Noi abbiamo la libertà di poter scegliere i nostri prodotti, ragionando anche sulla destinazione tra sala e home video: possiamo quindi sperimentare e non subire il limite degli obblighi censori. Possiamo naturalmente anche sbagliare e ce ne assumiamo nel caso le responsabilità, ma in ogni modo la sfida che ci si presenta è senza dubbio più affascinante.
Questo per ciò che riguarda un livello che possiamo definire “di mercato”. Dal punto di vista artistico, invece, la scena è stimolante, offre nomi interessanti?
MG: Assolutamente sì. Facendo un confronto con il passato, negli anni Ottanta siamo stati testimoni di un cinema horror assolutamente scellerato, che andava da Lucio Fulci a Jorg Buttgereit, a qualsiasi altro tipo di situazione. Poi sono arrivati gli anni Novanta, terribili e afflitti da un'autocensura frustrante: vedere un horror era come assistere a un film porno tagliato, non c'era una goccia di sangue! Dopo l'11 Settembre, invece, tutto è cambiato di nuovo e oggi è possibile realizzare il film che si vuole. Un'opera che ha creato molta polemica, di un regista che è anche un caro amico della Midnight Factory, è 31 di Rob Zombie. Un titolo così, negli anni Novanta, non si sarebbe potuto fare! Oggi siamo addirittura talmente viziati dalla proposta che possiamo anche permetterci di snobbarlo, il che va benissimo, beninteso, anzi, adoro il fatto che abbia creato tanto dibattito! A livello artistico ci sono quindi film belli e brutti, ma l'aspetto importante è che c'è la possibilità di farli. Perciò siamo fortunati e questa consapevolezza, per chi ha studiato e conosce la storia del cinema horror, permette di fare un'analisi più dettagliata rispetto all'arida scelta di mercato fra ciò che fa soldi e ciò che non lo fa (che poi è sempre relativa). Ancora una volta è importante sapere di cosa si sta parlando.
Una curiosità: come mai per 31 si è scelta la strada dell'home video e non della sala, considerando l'importanza del nome del regista? È vera la voce che lui stesso non vuole che esca nei cinema?
MG: Rob Zombie è stato scottato da Le streghe di Salem, che pure trovo uno dei suoi film più interessanti e personali – fermo restando che il suo capolavoro resta La casa del Diavolo. Subito dopo ha deciso di fare un film per i fan, prendendosi tantissime libertà, pur nei limiti di un budget molto più limitato rispetto a quelli che la Lionsgate di solito gli metteva a disposizione. Non so, quindi, se per questo motivo lui abbia pensato a distribuzioni diverse da quella cinematografica, escludendo a priori la sala. Anche perché, va aggiunto che le vendite del film hanno dimostrato che il pubblico interessato è più ampio della cerchia dei soli fan, smentendo quindi le previsioni iniziali. L'esclusione della sala rientra poi in una dinamica più complessa: anche se oggi è possibile fare il film che si vuole, persiste in Italia una pesante forma di censura, la stessa – per capirsi – che ha marchiato The Green Inferno con l'ingiusto divieto ai minori di 18 anni. Un simile divieto, non solo preclude il passaggio tv, ma la programmazione dei multiplex relega automaticamente il film agli spettacoli dalle 22:30 in poi. Sei, insomma, privato di alcuni spettacoli fondamentali e quindi di una fetta di pubblico, e devi indirizzarti solo ai matti appassionati come noi, disposti a fare la trasferta al cinema nel giorno e negli orari indicati, mentre sappiamo che l'utenza generalista non si comporta così. 31 rischiava di prendere un simile divieto e quindi rendeva difficile l'uscita in sala. L'home video ci ha dato comunque grandissime soddisfazioni e molti festival ci continuano a chiedere di poterlo proiettare.
Quali sono, quindi, i limiti del mercato italiano in termini di “visibilità” e di contenuto “estremo” dei film?
AB: Fino a qualche anno fa la situazione era molto più difficile, ma con il passare degli anni e il continuo bombardamento mediatico cui siamo sottoposti, il senso del pudore si è abbassato e, di conseguenza, la censura su questi prodotti è diventata un po' più tollerante. Secondo me la cosa più importante è costruire una buona operazione di marketing che permetta di far capire l'oggettivo valore di un'opera. Se volessimo citare un film che non fa parte del nostro catalogo, ma che è abbastanza esemplare del concetto di "cinema estremo" potremmo prendere The Human Centipede: è sicuramente un prodotto molto crudo e con un'idea molto estrema, ma secondo me è anche un capolavoro, dotato di un suo fascino artistico. Quindi il confine lo si può spingere quanto si vuole, basta che ci sia un'oggettiva qualità del titolo e che si riesca a far passare il concetto che non è solo sbudellamento fine a se stesso, ma che si tratta di una provocazione sulle paure di tutti noi.
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