posted: 12.08.2014 @ 17:45 |
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Addio Capitano, mio Capitano!
Ricordo di Robin Williams
Alla fine degli anni Settanta, Robin Williams è un apprezzato comico "stand-up", di quelli cioè che recitano i loro monologhi in piedi, in un tripudio di giochi di parole e satira. Sono gli anni in cui una nuova generazione di attori si sta facendo largo in America, e Williams è in compagnia di gente come Christopher Reeve, cui rimarrà legato fino alla fine dei suoi giorni:
Ma sono anni tutt'altro che felici: il nostro Robin infatti è anche una persona che rischia di "bruciare" la sua esistenza in una vita di eccessi, caratterizzata da una feroce dipendenza dalla cocaina.
Si racconta perciò che fu la triste fine dell'amico John Belushi ad aprirgli gli occhi e a spingerlo a disintossicarsi. Chi è sopravvissuto alla morte spesso vive il resto dei suoi giorni come se fossero in prestito, quasi come se avesse a disposizione un "tempo extra", oltre che una vita da reinventare.
Il successo intanto era già arrivato, grazie alla serie televisiva Mork & Mindy (qui sotto), nata come spin-off di Happy Days (foto sopra).
A questo punto della sua vita, Robin è dunque a un bivio: rinato dal punto di vista umano e appagato dal punto di vista professionale, rischia però di essere nulla più che una rivelazione da palco teatrale o da piccolo schermo. In effetti, se andiamo a scorrere la sua filmografia cinematografica (che inizia già dal 1977) notiamo che il primo decennio di attività sul grande schermo è in secondo piano.
Chi intuisce prima di altri le sue geniali capacità mimiche è il grande Robert Altman che lo vuole per il ruolo di Braccio di Ferro. Il film è ancora oggi uno di quei titoli che dividono il pubblico (la Disney non lo ha nemmeno distribuito in DVD in Italia...), ma in Popeye il nostro Robin è assolutamente per-fet-to e riesce a far letteralmente vivere il personaggio di Segar, senza rinunciare a quella gestualità nervosa che sarà poi un suo marchio di fabbrica!
(il bellissimo manifesto italiano è del maestro Bruno Napoli, potete vedere il bozzetto originale sul Boschington Post)
Lentamente, l'industria inizia ad accorgersi di lui: nel 1984, infatti, arriva anche una nomination al Golden Globe per la sua parte in Mosca a New York.
Tre anni dopo il trionfo, con il pirotecnico disk jockey Adrian Cronauer di Good Morning Vietnam, diretto dall'ottimo Barry Levinson.
Il film rivela al mondo la doppia natura di Williams: da un lato carattere incontenibile, macchina di battute a raffica letteralmente impossibile da tenere a freno, come più volte dimostrerà sia al cinema che nelle sue apparizioni televisive (memorabili quelle al David Letterman Show).
Ma dall'altro anche animo inquieto, umbratile, malinconico, che riesce a far sfumare la risata nell'amaro groppo in gola, esattamente come avviene in questa commedia che trasfigura nel divertimento di superficie la violenza e i traumi americani della guerra in Vietnam: una risata non ci seppellirà, forse ci aiuterà, ma non è detto che ci salvi o, addirittura, ci assolva.
Per il ruolo Williams ottiene la sua prima nomination all'Oscar (e ovviamente l'Academy lo farà aspettare parecchio prima di premiarlo).
La fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta rappresentano gli anni dei classici indimenticabili, in cui il nostro lavora con maestri come Peter Weir (L'attimo fuggente), Terry Gilliam (La leggenda del re pescatore, ma anche Le avventure del Barone di Munchausen) e Steven Spielberg (Hook).
Nei casi migliori, torna quella miscela di vitalità scatenata e malinconia di fondo, evidente nel lirico finale de L'attimo fuggente, che ha (giustamente) segnato un'intera generazione:
Prendiamo anche un film come Mrs. Doubtfire, del bravo Chris Columbus: un'innocua commediola con un attore alle prese con il classico ruolo en travesti? Possiamo anche vederla così, ma se consideriamo come al fondo ci sia il desiderio di un padre di stare vicino a quei figli che la società (e la propria immaturità) gli strappa letteralmente dalle mani, ecco che emerge il versante umano e fragile caro all'attore.
Il 1995 può essere considerato l'anno che chiude il periodo d'oro, grazie alla performance, lodatissima, del Genio di Aladdin: dopo essere stato Peter Pan per Spielberg, ora Robin diventa un cartone animato, segno di quanto la sua figura istrionica sia penetrata nell'immaginario, ma anche qui infila una pennellata delle sue, quando il personaggio ottiene la libertà nel finale. E non a caso l'immagine del Genio e di Aladino che si abbracciano è una delle più postate in queste ore nella Rete per salutarlo:
Con la fine del decennio arriva finalmente l'Oscar per un ruolo che è un po' una sintesi del percorso sin qui compiuto: Williams è ancora insegnante per il "genio ribelle" Matt Damon in Will Hunting.
La carriera prosegue quindi fra ruoli che sembrano più sfacciatamente cuciti addosso alla sua personalità (L'uomo bicentenario, Patch Adams e Jack, che grazie a Francis Ford Coppola si eleva dal mucchio) e una nuova, strana tensione più "seria", che rivela un talento multiforme.
In particolare sono da riscoprire il commesso paranoico di One Hour Photo o il cattivo di Insomnia, così come la commedia satirica L'uomo dell'anno, non la più riuscita della sua carriera, ma piena di spunti interessanti, con un comico che vince le elezioni e diventa Presidente (sembra quasi una storia italiana...).
Sebbene non manchino ruoli divertenti (come il Roosevelt di Una notte al museo e i doppiaggi di vari cartoon), a vederla retrospettivamente, questa fase sembra più attenta a far emergere il lato malinconico e problematico dell'uomo Williams.
Come scrivevo in apertura, infatti, chi sopravvive alla morte sa di vivere un "tempo in più", e a volte decide di restituirlo. A noi non resta che ricordare quello che è stato durante questo "tempo in più", e nel caso di Robin Williams è stato qualcosa di bello, di profondo e di ricco, come testimonia la sua filmografia così attenta a lavorare sulle sfumature, mentre l'energia e le parole sembravano far pensare "solo" a un grande talento comico.
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