posted: 25.07.2003 @ 12:56 |
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Stefano De Sando e il ridoppiaggio di C'era una Volta in America!
Stefano De Sando ha una delle voci più camaleontiche del doppiaggio italiano. Quando parli con lui normalmente non riesci a cogliere nessuna delle sfumature che trovi, invece, nei personaggi che interpreta. E – giustamente - se ne vanta pure, dicendo di volersi nascondere dietro gli occhi dell’attore. Un atto di umiltà notevole per un artista interessante dal curriculum smisurato che può essere trovato sul sito (http://www.antoniogenna.net/doppiaggio/voci/vocisdes.htm).
Con lui ho parlato di C’era una volta in America in cui – per la prima volta – si è scontrato sullo stesso terreno di Ferruccio Amendola, primo doppiatore di Robert De Niro.
Per la prima volta in C’era una volta in America si è confrontato non solo con De Niro, ma anche con Ferruccio Amendola. Come è andata?
Non è la prima volta che lavoro ad una nuova edizione di un film che era stato già doppiato. Mi era capitato con Apocalypse Now Redux! In cui avevo doppiato Robert Duvall. Questa volta, invece, mi è toccato con De Niro. E’ stato un lavoraccio in tutti e due i casi.
Io ho 48 anni, mentre De Niro, all’epoca, di C’era una volta in America ne aveva 41. Il grande Ferruccio Amendola, invece, ne aveva ben 54. Ci sono quindi delle differenze. Ad ogni modo io avevo un ricordo così straordinario dell’originale, che durante il nuovo doppiaggio non ho voluto sentire mai la vecchia edizione. Avevo solo l’audio in inglese nelle orecchie per concentrarmi al massimo. Io non volevo farmi alcuna idea o partire da nessun preconcetto. Non volevo “rimbalzare” su una cosa già fatta.
Era necessario ridoppiare C’era una volta in America?
Sì, l’audio originale era molto rovinato. Aveva un fruscio tremendo. Noi abbiamo sentito qualcosa, e ci siamo subiti resi conto che era davvero inutilizzabile per il DVD.
Cosa pensa di questa occasione di ridoppiare i vecchi film del passato?
E’un’occasione importante per potere lavorare in maniera filologica su un film del passato. Il problema è che le lavorazioni attuali hanno dei tempi tecnici talmente stretti che è impossibile fare un paragone serio con il passato. Oggi c’è un impegno maggiore per lavorare al meglio con una velocità pazzesca. Credo che i grandi di una volta, oggi, non sarebbero in grado di lavorare come facevano, perché loro erano abituati a qualcosa di completamente diverso. C’era una volta in America è stato doppiato con centocinquanta turni, mentre noi lo abbiamo ridoppiato in una ventina. Una differenza abissale. In più loro quando l’hanno doppiato lavoravano fianco a fianco con Sergio Leone che sapeva sattamente cosa voleva e come. La sua presenza imponeva altri tempi di lavorazione. Noi abbiamo lavorato con una cura formale impeccabile, ma molto velocemente. Devi essere molto concentrato e – quindi – non ti puoi godere il tuo lavoro. Quando – all’epoca – si doppiavano questi film, i miei colleghi dell’epoca avevano dinanzi la pellicola a 70mm che scorreva. Noi, pur lavorando in salette avanzate tecnologicamente, abbiamo a che fare con dei vhs con le bande laterali che scorrono per evitare la pirateria, con scritte che appaiono nei momenti più impensabili e – alle volte – non riusciamo a capire che espressione abbia l’attore. Certo, alcuni mezzibusti non ci consentono di capire come fosse messa la bocca dell’attore.
In passato tutto era più confortante. Oggi il prodotto che noi vediamo è
volutamente scadente per evitare la pirateria.
E questo è ancora più complicato nei film d’animazione…
E’ vero, ma io – in realtà - non ne ho fatti tanti. A parte una piccola cosa ne Il principe d’Egitto in cui interpretavo Aronne, i miei ruoli più importanti sono stati quelli di Clayton il cattivo di Tarzan e Shere Khan ne Il libro della giungla 2.
Cosa pensa del fatto che il DVD abbia sottratto ai doppiatori una rete di protezione dal confronto con l’originale?
E’ vero il DVD fa capire quando un film è stato doppiato malamente e in maniera ‘frettolosa’. Personalmente sono tranquillo. Io non cerco mai di imitare l’originale, bensì – tramite una sorta di vicinanza vocale – amo nascondermi dietro agli occhi dell’attore. Il mio lavoro al leggio lo vivo in maniera molto faticosa. Cerco – al meglio – di mettermi al servizio del film e del direttore del doppiaggio che è il nostro regista.
Il famoso “doppiaggio che non si sente”…
Esattamente. Al contrario di tanti miei colleghi cerco di nascondermi il più possibile. Cerco di accompagnare l’attore. Se la voce del doppiatore si sente troppo, allora, il doppiaggio è verosimilmente sbagliato.
Parliamo di Robert De Niro. Come è arrivato a doppiare questo personaggio?
Io recitavo in teatro, ma nel 1987, quando ho deciso di dedicarmi al doppiaggio, ho vinto il concorso per doppiare Robert De Niro in Mission. Il produttore Fernando Chia, infatti, non voleva dare la parte a Ferruccio Amendola, perché De Niro, in quel film, era un prete e sebbene parlasse poco, si desiderava che esprimesse qualcosa di diverso dallo standard. Fu una tragedia con Ferruccio Amendola che se la prese tantissimo. In realtà, però, per la prima volta nel doppiaggio italiano venne dimostrato che si poteva doppiare in maniera differente rispetto al passato e che non era necessario che nessuno di noi fosse così legato ad un attore piuttosto che ad un altro. Poi c’è stata una lunga interruzione fino al 1998 quando la Uip decise di affidarmi di nuovo De Niro per Ronin.
E lì accadde il fattaccio…
A distanza di tanti anni, Ferruccio Amendola si arrabbiò moltissimo. Lui doppiava De Niro per alcune Majors, io per altre.
Va detto, però, che pur volendo fare dei paragoni molto ardui lei e Amendola avete doppiato De Niro quasi contemporaneamente per due film diversi. Lei per Ti presento i miei e Amendola per Men of honor in cui si percepisce la dentiera… per non parlare del fatto che Amendola avesse più di settanta anni che si avvertivano tutti nella voce…
E’ capitato in seguito anche che lui ha doppiato il primo Terapia e pallottole, mentre io ho doppiato Un Boss sotto stress. Ci sono stati molti momenti di incontro tra di noi.
E lì De Niro canta pure…
Sì e a me è toccato pure cantare. Anche se il seguito come tutti i sequels è andato meno bene del primo film sia in America che in Italia.
Un altro attore che lei doppia abitualmente è James Gandolfini…
Grazie al quale sono finito sul New York Times che ha voluto fare un’inchiesta su come in Italia avevamo reso il fenomeno Sopranos e come avevamo risolto alcuni problemi di adattamento. Noi, avendo parlato di Camorra e non di Mafia, abbiamo sviluppato tutta una serie di accenti che vanno dalla zona a nord di Napoli fino alle sfumature della provincia di Avellino e di Salerno. Più gli attori sono giovani, meno si avverte l’accento. Tony Soprano, ad esempio, parla in napoletano solo quando si arrabbia e quando picchia. E’ stato un doppiaggio molto efficace di cui sono molto orgoglioso. Va detto che la serie è stata molto maltrattata dalla tv italiana, mentre – in America – è ancora al vertice degli ascolti.
Qual è stato il suo doppiaggio più difficile?
Io li vivo tutti in maniera molto complicata. Mi stanco molto e li affronto sempre con grande umiltà. Va anche detto che più sono difficili i ruoli che mi vengono proposti, più mi diverto.
Un personaggio particolarmente ostico?
Nick Nolte con delle sfumature omosessuali ne La colazione dei campioni. James Gandolfini ne Il castello e anche lui con dei toni vagamente gay in The Mexican di Gore Verbinski. De Niro, poi, è sempre difficile da doppiare, perché è un attore veramente bravo. L’ultima scena di City by the sea è stata complicata da ripetere, per la sua grande forza emotiva.
Qual è il suo doppiaggio preferito?
Quello di Indovina chi viene a cena? con Spencer Tracy e Katherine Hepburn.
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